Quando a Terrasini La Politica La Dettava Palermo

Non si muoveva foglia senza l’intervento e il beneplacito delle segreterie dei partiti e dei parlamentari di riferimento. Sindaci e amministratori scelti in nome degli equilibri politici centrali del momento. Le scelte politiche locali condizionate dalla città. Un “come eravamo”, mentre sul “come siamo” rimane un interrogativo.

di Franco Cascio

SIMBOLI COPERTINA 2

Un “vecchio” politico terrasinese, uno dei protagonisti della Prima Repubblica, amava raccontare questo aneddoto: «Quando negli anni ottanta dovevamo scegliere il sindaco (allora il sindaco veniva eletto tra i consiglieri comunali, ndr), capitava che durante le pause delle infuocate sedute consiliari, ci si allontanava per andare in piazza a comprare le sigarette. Giunti da Croce (la rivendita di tabacchi in piazza, ndr) il sindaco scelto era uno, durante la strada di ritorno verso il Municipio invece il sindaco scelto era un altro!».

L’aneddoto la dice lunga su come andavano le cose trenta-quarant’anni fa. Il primo cittadino non era espressione della volontà popolare (la legge sull’elezione diretta era ancora lontana), o perlomeno non lo era del tutto, ma era il risultato degli accordi tra e all’interno dei partiti, oltre che delle strategie, delle alleanze e di tutta una serie di criteri compresa l’appartenenza all’area politica giusta al momento giusto.

Il tutto sotto la supervisione dei partiti e dei parlamentari di riferimento di stanza a Palermo. La classe politica locale, infatti, altro non faceva che eseguire le indicazioni che arrivavano dalla città, in nome di un “centralismo” in cui il potere politico era concentrato nelle sedi dei partiti e nelle segreterie dei parlamentari.

Erano i tempi delle giunte di decantazione, dei monocolori democristiani, dei “compromessini” storici, delle giunte di salute pubblica e quanto altro il politichese di allora potesse esprimere.

Il controllo da Palermo, ovviamente, avveniva anche e soprattutto in occasione della formazione delle liste elettorali. Più forte e rappresentata era un’area a livello provinciale e regionale (a sua volta rappresentata nel sistema politico a livello centrale) più voce in capitolo aveva nella scelta dei candidati e nelle poltrone da assegnare.

CONSIGLIO-COMUNALE-1024x721Un meccanismo a cascata, insomma. Ciò che accadeva a Roma influiva sugli equilibri palermitani (ma accadeva anche il contrario) e di conseguenza si rifletteva nella vita politica degli enti locali.

Con l’elezione diretta del sindaco cambiarono tante cose. Ma non completamente.
Sebbene indebolite, le segreterie dei partiti riuscivano ancora a indirizzare le scelte sui candidati e sulla successiva nomina degli assessori. Spesso influivano anche nella nomina dei posti di “sottogoverno” o addirittura financo nella nomina delle commissioni consiliari, per garantire gli “equilibri”.

Capitava così che, durante la campagna elettorale, la frase più ricorrente nei comizi fosse: «Noi vogliamo amministratori scelti dai terrasinesi, e non da Palermo! Su questo palco non vedrete mai esponenti politici!». E lì, pioggia di applausi. Ma non era proprio così.

Nemmeno lo stesso candidato che dal palco gridava quelle frasi ci credeva poi così tanto. Perché il fatto che non salissero sul palco non significava proprio nulla. Anzi, forse i candidati che i propri riferimenti politici se li portavano sul palco erano sicuramente più trasparenti di quelli che non li facevano salire.

Non per niente, la recente e recentissima storia politica di Terrasini sarà contraddistinta dalle assai più inquietanti manovre dietro le quinte poste in essere da chi ha preferito agire in maniera determinante rimanendo nell’ombra.

Ma se è vero che le scelte di Palermo hanno negli anni condizionato la politica locale, è pur vero che a volte accadeva anche il contrario. Fatti e circostanze politiche locali potevano avere ripercussioni a livello centrale. Insomma, un battito d’ali di farfalla a Terrasini provocava un terremoto a Palermo. Succedeva nella Prima Repubblica con i partiti tradizionali, ma anche nella Seconda e probabilmente nella Terza.

Un episodio recente ce lo racconta l’archivio di Repubblica e vede protagonista l’allora ras siciliano di Forza Italia Gianfranco Miccichè, che a Terrasini tra l’altro, a metà degli anni novanta, fu anche consigliere comunale del Polo delle Libertà (insieme con l’attuale sindaco Massimo Cucinella), dopo il rinnovo dell’assise comunale a seguito del referendum-sfiducia vinto dall’allora sindaco Manlio Mele. Ecco un passaggio dell’articolo del maggio 2006, appena 8 anni fa.

foto articolo repubblica

Un esempio di come la politica locale e quella centrale dipendessero l’una dall’altra.
Oggi, con i partiti pressoché annullati, con l’antipolitica galoppante, con le segreterie chiuse e con i parlamentari che rispondo solo a se stessi, sembrerebbe che il condizionamento della città nei confronti della politica locale sia ridotto al minimo, forse quasi inesistente.

Sembrerebbe, ma un’ulteriore e attenta analisi probabilmente dimostrerebbe il contrario.

Commenta su Facebook

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *