Handicappato A Chi?

santamaria

Filippo Santamaria

Nel testo della legge 104 compare il termine “handicappato”. Ma handicappato significa essere il più forte. E nessuno ha mai proposto di toglierlo.

Intervista a
Filippo Santamaria.

 

 

di Franco Cascio

Prosegue il dibattito sulla legge 104 avviato dal nostro giornale. Pubblichiamo un’intervista a Filippo Santamaria, terrasinese, impegnato nel sociale e difensore dei diritti degli handicappati. Anzi no, perché  -come spiega Filippo-  «handicappato vuol dire essere il più forte, il più fortunato».

Spiegati meglio.

Il termine hand in cap è di provenienza anglosassone, letteralmente significa “mano nel cappello” ed era una riffa ottocentesca. Brevemente si può spiegare così: si mettevano dei bigliettini con su scritto il premio in palio dentro una bombetta e i partecipanti, infilando la mano dentro il cappello, estraevano un biglietto: il più fortunato prendeva il vincente e si aggiudicava la riffa. Il vincitore invitava poi tutti i partecipanti a bere, i quali a loro volta inneggiavano gridando “Go handy! Go handy!”. Qualche anno dopo, il vocabolo handicap venne usato nel gergo ippico: in una competizione ippica se un cavallo era più forte rispetto agli altri partecipanti, i giudici di gara gli applicavano un handicap, cioè una zavorra affinché gareggiasse alla pari con i suoi avversari. Quindi l’etimo del vocabolo handicap letteralmente significa peso o zavorra messa sopra il più forte. Il legislatore italiano ha coniato il termine handicappato pensando alla radice etimologica della parola, dunque il più fortunato o zavorra messa sopra il più forte, elemento di cui dovrebbero essere a conoscenza tutti coloro che hanno la certificazione art.3 legge 104/92, genitori compresi. Nella legge 104/92 il termine handicappato viene usato troppo spesso.

È una brutta legge allora la 104.

No, non lo è affatto. Al contrario la legge quadro 104/92 è la fonte legislativa più completa per la promozione ed inserimento della persona con ‘diversabilità’. Il fatto più eclatante è che ne sia a conoscenza un esiguo 5% della popolazione avente diritto.

Torniamo al termine handicappato.

È da precisare che la parola disabilità o handicappato fa esordio nel 1980, quando l’organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato una prima classificazione internazionale delle menomazioni, delle disabilità e degli handicap (icidh). In italia il nuovo vocabolo disabilità fa esordio nel linguaggio giuridico e normativo il 7 febbraio 1982 in una comunicazione del Consiglio dei Ministri. Ma ancora oggi permane nel lessico legislativo e sociale italiano il termine disabile o handicappato. Un ventennio dopo, il 22 maggio 2002, l’organizzazione mondiale della sanità corre ai ripari con la formulazione di una nuova classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute denominata ICF, in cui i tre termini portanti della precedente versione (menomazione, disabilità, handicap) sono stati sostituiti da funzioni e strutture corporee, attività, partecipazione. La modifica non riguarda solo la nomenclatura, ma l’angolazione del focus concettuale. I termini menomazione, disabilità, handicap contengono in sé l’etimologia “non”. È cioè a causa di un organo fisico o psichico deficitario che si arriva alla condizione di disabilità, termine che mette in evidenza ciò che non è possibile fare. Il termine handicap, invece, indica la serie di ostacoli fisici e stigmatizzazioni imposte dalla società. Nonostante tutto, in Italia ancora oggi sono di uso corrente i termini menomato, disabile ed handicappato, comuni nel lessico italiano e legittimati dalla legge. Buona parte dei mass media mostra la stessa tendenza all’uso della parola handicappato. A nessuno dei nostri politici, sensibili al varo di eccellenti leggi per la promozione ed inserimento del disabile, è mai venuto in mente di seguire le direttive dell’organizzazione mondiale della sanità.

Il termine handicappato troppo spesso usato come un insulto.

Già. Mi chiedo, dunque, se sapremo porre mai fine alla denigrazione gratuita nei nostri confronti e se i diretti interessati faranno qualcosa in merito, piuttosto che mettere la testa sotto la sabbia. Se rifiutiamo il potere di denunciare a voce alta, ci trasformiamo in complici. Ne deduco, quindi, che siano proprio i nostri legislatori ad addossarci uno stigma che ci etichetta negativamente e che sia la società a renderci handicappati, ostacolando il nostro cammino con barriere strutturali e non solo di ogni tipo. Se ci chiudiamo nel nostro silenzio diventiamo omertosi, avallando quella che è la più grande spina nel fianco della nostra terra: si chiama mafia e so quanto sia disturbante per molti sentirla pronunciare.

Politica, mafia? Che c’entrano con la diversabilità?

La diversabilità non ha un colore politico, ma evidentemente in passato deve essersi dimostrata un ottimo serbatoio di voti. Perché nessuno ha mai proposto un disegno di legge che elimini dalla legge il termine handicappato? A me non interessa la compassione. Io pretendo la comprensione.

Commenta su Facebook

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *