RITORNO A SAN CATALDO 2. ECCO CHE ABBIAMO VISTO!

Quello che doveva rappresentare il recupero di un luogo incantevole, sembra invece un autentico fiasco. Materiale scadente e precario, nessuna opera di consolidamento, la protezione dalle acque piovane già in tilt, fili elettrici a vista, ringhiere divelte, la fornace già un immondezzaio. Alla faccia del “duraturo nel tempo”.


nel testo 2

 

 

di Franco Cascio

 

 

«Un luogo, un sito, una baia, un promontorio che vanno risanati, bonificati, disinquinati e restituiti intatti alla vita di noi tutti, come nei racconti degli anziani, quando il Nocella non era inquinato, quando a monte non c’erano le distillerie e gli scarichi abusivi di ogni genere». Lo scrivevamo a dicembre scorso inRitorno a San Cataldo”, un reportage sui lavori di recupero della chiesetta che da secoli sorge in quel sito.

Oggi a San Cataldo, a pochi giorni dalla presentazione del libroSan Catauru: luogo della memoria. Identità di un santo. Identità di una contrada. Identità di una Chiesa”, che sarà presentato il 29 settembre prossimo presso la Chiesa Madre di Terrasini, abbiamo deciso di tornarci.

Ci siamo tornati per rivedere quel sito dopo i lavori di risanamento che, almeno nelle intenzioni, avrebbero dovuto riconsegnare alla collettività un luogo incantevole per troppo tempo abbandonato. E tutto grazie al “GAL Golfo di Castellammare” che ha finanziato i lavori di restauro e il “ripristino filologico” della chiesetta.

I lavori di risanamento  – va ricordato–  avrebbero dovuto rappresentare la fase iniziale di un processo che si sarebbe concluso con il totale recupero della zona.
Ma arrivando a San Cataldo, girando lo sguardo intorno e con le scarpe impolverate dal fango rappreso, ovunque presente come un tappeto di “benvenuto”, comincia a prendere forma l’idea che quello che sarebbe dovuto essere l’inizio di un processo ha già assunto i contorni della fine.

La prima cosa che salta all’occhio è la Regia Trazzera trasformata in un fiume di fango e detriti (foto 1). Gli interventi di regimentazione delle acque piovane a protezione del manufatto appaiono (foto 2) a dir poco ridicoli. Il fango ha invaso le fughe che avrebbero dovuto indirizzare l’acqua verso mare e che, invece, tira dritto verso la struttura della chiesa (foto 3).

L’aspetto idrogeologico, che avrebbe dovuto indurre alla realizzazione di interventi necessari per preservare il manufatto da eventuali frane, sembra essere stato piuttosto sottovalutato. Nessun intervento, infatti, se si escludono dei timidi muretti (foto 4) che, in caso di smottamento  (speriamo mai)  verrebbero probabilmente inghiottiti come nulla. La collina che sovrasta l’aera tende ovviamente a scivolare verso mare e il terreno  – fra l’altro già soggetto a cedimenti –  non troverebbe alcuna resistenza. Nessuna opera di consolidamento, insomma, in caso di smottamenti. Eppure proprio la relazione geologica allegata al progetto sottolinea questi rischi.

E non è solo quella idrogeologica la questione che mette apprensione. C’è pure quella strutturale. Il mare è a due passi. Se ne sono accorti già i bulloni che fissano le piastre (foto 5) che assicurano l’attacco dei pilastri alle fondamenta. Normalissimo acciaio che mostra già i primi sintomi di ossidazione, tipico in un ambiente di mare. I tiranti (foto 6), poi, sono poco più grandi di quelli che abitualmente si utilizzano per stendere i panni, ma è a loro che è affidato il duro compito di tenere in piedi una struttura di quelle dimensioni. L’usura (foto 7) già in atto, unita all’azione del vento, lasciano parecchio perplessi circa la tenuta nel breve, senza contare il medio e lungo termine.

A quanto pare, però, sembrerebbe che dagli atti depositati al Genio Civile, il progetto preveda un sistema di ancoraggio di forma e consistenza diversa rispetto a quello esistente. La struttura non è stata sottoposta a collaudo, ma esiste una certificazione dello stesso direttore dei lavori che attesta che questi sono stati eseguiti in conformità al progetto. Progetto che prevedeva anche l’utilizzo di “legni pregiati”. Non vorremmo sbagliarci, ma a noi il legno utilizzato per parte della struttura è sembrato abete e, fino a prova contraria, l’abete non rientra tra i legni pregiati.

E un cenno non può non essere fatto alla dubbia qualità delle scelte architettoniche. Le ringhiere (foto 8), per esempio, che delimitano lo spazio antistante, sono già divelte. La fornace (foto 9) è già deposito di rifiuti. L’impianto elettrico di illuminazione (foto 10), infine, non sembrerebbe essere proprio “in sicurezza”.

Che aggiungere? Come detto, i lavori di recupero di San Cataldo avrebbero dovuto rappresentare un punto di partenza, un inizio di qualcosa di duraturo nel tempo che potesse restituire lo splendore a un luogo abbandonato a se stesso, riconsegnandolo in primo luogo ai terrasinesi. Da quello che abbiamo visto e constatato  – duole dirlo –  sembra invece d’essere davanti all’ennesima operazione di facciata.

foto 1 e 2 bis

Ξ Foto 1: La Regia Trazzera trasformata in un fiume di fango e detriti. Ξ Foto 2: Le vie di fuga delle acque piovane ostruite da terra e fango.

foto 3 e 4

Ξ Foto 3: Il fango ha invaso le fughe che avrebbero dovuto indirizzare l’acqua verso mare. Ξ Foto 4: I “timidi muretti” che, probabilmente, non sarebbero in grado di contenere gli smottamenti.

foto 5 e 6

Ξ Foto 5: I bulloni che fissano le piastre, con i primi segni di ossidazione. Ξ Foto 6: I tiranti (appena visibili dietro i listelli di legno), appaiono del tutto insufficienti per tenere in piedi una struttura di quelle dimensioni.

foto 7 e 8

Ξ Foto 7: L’usura già in atto, unita all’azione del vento, lasciano parecchio perplessi circa la tenuta della struttura nel breve, medio e lungo termine. Ξ Foto 8: Le ringhiere già divelte.

foto 9 e 10 bis

Ξ Foto 9: La fornace è già deposito di rifiuti. Ξ Foto 10: L’impianto elettrico di illuminazione non sembrerebbe essere “in sicurezza”.

 

 

 

 

 

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2 comments on “RITORNO A SAN CATALDO 2. ECCO CHE ABBIAMO VISTO!
  1. Caro Giuseppe, mi continuo a meravigliare di coloro che si meravigliano di cose che dovrebbero essere ormai chiare a tutti, ma se non a tutti almeno ai più smaliziati e agli addetti ai lavori di lungo corso come sei tu. E' stupefacente che qualcuno abbia potuto pensare, per un solo attimo, che chi ha estirpato i Ficus di piazza Duomo, chi ha lasciato che la Torre Paternella crollasse senza muovere un dito ne prima ne dopo, fosse colpito, come fulminato sulla strada di Damasco, da improvviso amore per il territorio, la sua storia e le sue tradizioni. In quest'opera di manutenzione del territorio avvenuta negli ultimi anni, sono stati utilissimi alletati i cittadini con la loro indifferenza ormai congenita, le opposizioni che invece di inscenare giuste proteste anche in occasione della realizzazione di questo monumento allo spreco e di produrre informazione capillare, hanno preferito tacere o protestare semmai con un filo di voce, i movimenti, i partiti, le associazioni, con la Pro Loco in testa, hanno preferito, tranne che per qualche raro personale intervento, volgere il capo dall'altra parte. Intanto in quel luogo insalubre sono stati spesi quattrocentomila euro di denaro pubblico, per una cattedrale nel deserto, che ora sembra gridare vendetta per il degrado in cui dopo qualche mese dall'inaugurazione in pompa magna, alla presenza dei vertici ecclesiastici e amministrativi, versano i luoghi e la struttura.Ma non è ancora finita, martedì 28, nella Chiesa Madre verrà presentata una pubblicazione sulla Chiesa di San Cataldo, ricca di testimonianze e di richiami storici e leggendari. Non si capisce se serva per giustificare il grosso impegno economico per la presunta salvaguardia del rudere o per fornire ulteriore occasione per una passerella utile all' immagine di chi vuole esserne considerato l'artefice. Io mi auguro che ci sia una massiccia presenza di cittadini che possano intervenire per fare sentire la propria voce in proposito.

  2. Il giorno dell'inaugurazione mi trovavo lì con la banda di Terrasini a suonare; da quello che ho visto sono rimasto deluso … pensavo a un restauro serio con la ricostruzione totale della chiesetta … peccato. Da ciò che ho potuto notare dalle foto, per quanto riguarda l'impianto elettrico se si riferiscono solo a quel cavo imbullonato nel traliccio è perfettamente normale perchè non è altro che la messa a terra del traliccio, mentre per il resto dell'impianto, che non si visualizza (non ci sono foto), non sono in grado di dare il mio parere di ex-elettricista.

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